LA BESTIA NEL PIATTO

LA BESTIA NEL PIATTO

Se me l’avessero detto, anche solo un anno fa, che mi sarei ritrovato a cena, non con uno, ma con ben due sommelier, a godere dei profumi e dei sapori di un buon vino non ci avrei proprio creduto.
E meno che mai avrei creduto che ad uno di loro avrei addirittura prestato il bicchiere, ma ciò nonostante tutto questo è proprio vero ed è merito del mio amico Simone che ha saputo creare le condizioni e le occasioni perché tutto ciò avvenisse. Spero che non si offenda se l’ho chiamato amico ma non saprei in quale altro modo riferirmi a lui che mi sopporta già da quando gli dicevo “noooo!!!, me lo sfavi tutto”. Adesso basta però, altrimenti si commuove o peggio ancora si monta la testa visto che non è il primo complimento che riceve.
Veniamo alla bestia. Come avrete capito non si tratta di quella ben più tragica di cinematografica memoria, ma di un più piccolo animaletto salterino. Anche l’ora non era Mezzogiorno come la Giovanna attrice ma una delle prime della sera. Insomma era le nove e si mangiava le pappardelle alla lepre; bestia questa che rilasciava al palato tutti i suoi aromi selvatici ben strutturati, immediati e per niente complessi. Il vino, abbinato sapientemente dal valente Vittorio, era un robusto chianti pisano di Palaia, il San Gervasio appunto. Io credo che null’altro debba dirsi, credo non ci siano da descrivere aromi e sapori, ma da solo basti dire che veramente questo vino “ammazza la bestia”.
Ma facciamo un passo indietro, torniamo all’antipasto. L’accompagnava un aristocratico Scalabrone di Livorno o giù di lì.
Ora, sarà pur vero che il rosato ci può risolvere tante situazioni, ma se devo essere sincero dei Marchesi Antinori ho assaggiato di meglio; intendiamoci, va giù bene, soprattutto d’estate, ma se devo spendere nove euro e passa preferisco andare al cinema.
E per secondo? Un’altra bestia. Ben più grossa, ruspante e muscolosa dell’altra: il cinghiale appunto. Beh si, era il 15 di giugno, eravamo praticamente in riva al mare ma con il fantastico chianti riserva del castello Vicchiomaggio cosa ci volevate mangiare? L’astice?

D’altra parte il bagno si chiamava IL GABBIANO e un celeberrimo romanzo ci ha insegnato che questo uccello sa andare oltre ogni schema e ogni convenzione soprattutto se si chiama Jonathan.
Infine una parola sul dessert. Ottimo direi, lo spumante che lo accompagnava però non era all’altezza, non faceva parte della scelta sapiente ed attenta di Vittorio, è vero, ma una cosa mi ha colpito: il nome. Si chiamava Volpi, ora, mi viene da pensare che le volpi sono quelli che lo rifermentano. Ok, vi ho rotto gli acini con persistenza, come il perlage del Volpi, ora basta, alla prossima e scusate ma oggi mi sento così, ruvido come un sangiovese base di pessima annata.

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